Schino e Granata
Festival delle Colline
Seconda serata per il Festival delle Colline Torinesi (1-21 giugno 2013).
Irriverente e di denuncia, poetico e meditativo come un ribelle, sfrontato nel presentare la realtà nuda, indiscreto nello spogliarci delle nostre certezze; questo è il carattere del festival e un'installazione/spettacolo e una tragicommedia ce ne mostrano alcune sfumature. Eco di Vicenzo Schino e Invidiatemi come io ho invidiato voi di Tindaro Granata ci svelano un po' più di noi stessi. Martedì 4 nelle sedi della Cavallerizza Reale e del Teatro Gobetti.
Eco, il nuovo lavoro di Schino che con la sua Compagnia partecipa per la quarta volta al Festival, è un momento preciso, un passaggio in cui convivono, ancora una volta, i diversi dispositivi atti alla stimolazione della percezione. Un pozzo a terra, o la sua simulazione, con dell'acqua gocciolante lenta come il tempo, sonora e costante come i ricordi. Una sagoma umana fatta di fili metallici e mossa da un demiurgo invisibile che poi si scoprirà meno divino nel delirio voyerista. Senso d'acqua e senso di vento, elementi potentissimi che dalla natura conducono all'uomo attraverso giochi percettivi, sensazioni sonore che risvegliano ricordi, metafore visive che raccontano di uomini inconsistenti, aridi, fragili e terrorizzati dalla paura. Sarà forse l'eco del ricordo dei padri a fare in modo che i fili dell'uomo marionetta di oggi siano mossi da lui medesimo? In questa ricerca forsennata verso la libertà non stiamo diventando vittime detenute della nostra immagine? Salvo poi farla scegliere agli altri..
Con l'aridità e la perdita dell'innocenza si confronta anche il siciliano Granata. Attento nel carpire la vera essenza delle cose sa che si nasconde dietro parole bene esposte, aldilà di un vestito nuovo, alle spalle dell'egoismo che si traveste da ricerca del sé. E' un mondo di insoddisfatti quello esposto in Invidiatemi come vi ho invidiato io, un mondo piccolo e meschino fatto di poche regole determinate e precise. Di riti quotidiani che celano l'illusione della vita. E quando si è troppo presi da sé, rincorrendo un obbiettivo preciso, non si riesce a mettere a fuoco, tanto siamo imbevuti di soap opera e telenovelas, che per forza agogniamo ad un lieto fine, ottenendo poi un servizio ai telegiornali. Eh sì, tra virtuale e reale ormai l'uomo contemporaneo vive uno sfasamento che no sa bene cosa comporti, tutto sembra possibile e quindi sperabile. E quanto è bello sognare, quanto ci fa vivere bene credere che sia tutto apposto.
Una famiglia come tante. Lui: lavoratore e padre assente, marito/fratello. Lei: cresciuta nella violenza spacciata per educazione, insoddisfatta da sé stessa e da suo marito. Ribelle al contesto d'origine e a quello attuale: madre, cognata, vicina. Donna che si emancipa e per questo crede, come tutte le donnette, di essere invidiata. La figlia: non esiste come personaggio, tutti ne parlano, la si sente piangere ma è come se nessuno la vedesse realmente. Per loro rappresenta cose diverse, la famiglia per il marito, un peso per la moglie, la nipotina desiderata che permette alla nonna di fare la nonna, la figlia che non può avere per la cognata. Insomma il solito complesso groviglio familiare che in questo caso sfocia in tragedia e le vittime sono sempre i più piccoli.
Un testo sapiente e topico nella caratterizzazione dei personaggi e una regia attenta, non permettono subito di cogliere, da parte del pubblico, il centro dell'opera. Si parte con il credere che sia la storia di Angela, la moglie, la donna insoddisfatta e non curante della figlia. Si concentra su questi dettagli e man mano i personaggi sciolgono la matassa fino a capovolgerne il centro. E così si scopre che il testo è la storia della figlia vittima di un pedofilo: l'amico di famiglia, il finto amante della madre, l'uomo di cui tutti si fidavano e diffidavano al contempo, ma mai dirlo apertamente, non sarebbe stato educato. Ma gli indizi c'erano tutti dirà un personaggio, solo dopo che la tragedia si sarà consumata. Nessuno che compia un'azione decisiva, tutti lì a farsi cullare dal vento degli eventi come la marionetta di Schino. E se il personaggio della figlia figura come un vero e proprio fantasma - non parla, non gioca con gli altri, non va a scuola, che c'è ma non si vede insomma - forse perché metafora delle cose invisibili, delle verità nascoste, del dolore e la rabbia che tutti cerchiamo di celare? O è la metafora di quanto il mondo adulto sia inquinato tanto da far perdere ai genitori l'istinto mater/paterno? Angela sì, tutti ti invidiano adesso..
Irriverente e di denuncia, poetico e meditativo come un ribelle, sfrontato nel presentare la realtà nuda, indiscreto nello spogliarci delle nostre certezze; questo è il carattere del festival e un'installazione/spettacolo e una tragicommedia ce ne mostrano alcune sfumature. Eco di Vicenzo Schino e Invidiatemi come io ho invidiato voi di Tindaro Granata ci svelano un po' più di noi stessi. Martedì 4 nelle sedi della Cavallerizza Reale e del Teatro Gobetti.
Eco, il nuovo lavoro di Schino che con la sua Compagnia partecipa per la quarta volta al Festival, è un momento preciso, un passaggio in cui convivono, ancora una volta, i diversi dispositivi atti alla stimolazione della percezione. Un pozzo a terra, o la sua simulazione, con dell'acqua gocciolante lenta come il tempo, sonora e costante come i ricordi. Una sagoma umana fatta di fili metallici e mossa da un demiurgo invisibile che poi si scoprirà meno divino nel delirio voyerista. Senso d'acqua e senso di vento, elementi potentissimi che dalla natura conducono all'uomo attraverso giochi percettivi, sensazioni sonore che risvegliano ricordi, metafore visive che raccontano di uomini inconsistenti, aridi, fragili e terrorizzati dalla paura. Sarà forse l'eco del ricordo dei padri a fare in modo che i fili dell'uomo marionetta di oggi siano mossi da lui medesimo? In questa ricerca forsennata verso la libertà non stiamo diventando vittime detenute della nostra immagine? Salvo poi farla scegliere agli altri..
Con l'aridità e la perdita dell'innocenza si confronta anche il siciliano Granata. Attento nel carpire la vera essenza delle cose sa che si nasconde dietro parole bene esposte, aldilà di un vestito nuovo, alle spalle dell'egoismo che si traveste da ricerca del sé. E' un mondo di insoddisfatti quello esposto in Invidiatemi come vi ho invidiato io, un mondo piccolo e meschino fatto di poche regole determinate e precise. Di riti quotidiani che celano l'illusione della vita. E quando si è troppo presi da sé, rincorrendo un obbiettivo preciso, non si riesce a mettere a fuoco, tanto siamo imbevuti di soap opera e telenovelas, che per forza agogniamo ad un lieto fine, ottenendo poi un servizio ai telegiornali. Eh sì, tra virtuale e reale ormai l'uomo contemporaneo vive uno sfasamento che no sa bene cosa comporti, tutto sembra possibile e quindi sperabile. E quanto è bello sognare, quanto ci fa vivere bene credere che sia tutto apposto.
Una famiglia come tante. Lui: lavoratore e padre assente, marito/fratello. Lei: cresciuta nella violenza spacciata per educazione, insoddisfatta da sé stessa e da suo marito. Ribelle al contesto d'origine e a quello attuale: madre, cognata, vicina. Donna che si emancipa e per questo crede, come tutte le donnette, di essere invidiata. La figlia: non esiste come personaggio, tutti ne parlano, la si sente piangere ma è come se nessuno la vedesse realmente. Per loro rappresenta cose diverse, la famiglia per il marito, un peso per la moglie, la nipotina desiderata che permette alla nonna di fare la nonna, la figlia che non può avere per la cognata. Insomma il solito complesso groviglio familiare che in questo caso sfocia in tragedia e le vittime sono sempre i più piccoli.
Un testo sapiente e topico nella caratterizzazione dei personaggi e una regia attenta, non permettono subito di cogliere, da parte del pubblico, il centro dell'opera. Si parte con il credere che sia la storia di Angela, la moglie, la donna insoddisfatta e non curante della figlia. Si concentra su questi dettagli e man mano i personaggi sciolgono la matassa fino a capovolgerne il centro. E così si scopre che il testo è la storia della figlia vittima di un pedofilo: l'amico di famiglia, il finto amante della madre, l'uomo di cui tutti si fidavano e diffidavano al contempo, ma mai dirlo apertamente, non sarebbe stato educato. Ma gli indizi c'erano tutti dirà un personaggio, solo dopo che la tragedia si sarà consumata. Nessuno che compia un'azione decisiva, tutti lì a farsi cullare dal vento degli eventi come la marionetta di Schino. E se il personaggio della figlia figura come un vero e proprio fantasma - non parla, non gioca con gli altri, non va a scuola, che c'è ma non si vede insomma - forse perché metafora delle cose invisibili, delle verità nascoste, del dolore e la rabbia che tutti cerchiamo di celare? O è la metafora di quanto il mondo adulto sia inquinato tanto da far perdere ai genitori l'istinto mater/paterno? Angela sì, tutti ti invidiano adesso..
gb
Cavallerizza Reale
Opera - Eco
regia Vincenzo Schino
Teatro Gobetti
Invidiatemi come io ho invidiato voi
regia Tindaro Granata
Opera - Eco
regia Vincenzo Schino
Teatro Gobetti
Invidiatemi come io ho invidiato voi
regia Tindaro Granata