itinerario per una possibile salvezza
intervista al coreografo
Con debutto nelle viscere della capitale partenopea, Itinerario - per una possibile salvezza arriva a Torino. Commissionato dal Fringe Festival di Napoli nel 2013 per il Tunnel Borbonico, nell'ex capitale italiana, in collaborazione con il Museo Diffuso della Resistenza, per il 70° anniversario della Liberazione, "scende" nel Rifugio Antiaereo.
Non sono educati né gentili nelle loro regressione selvaggia. Ti intimano di seguirli con sguardi fissi e poco discreti. Ti spingono e ti strattonano. Mettono paura. Primati che rotolano e saltano, uomini incattiviti da una socializzazione malsana sono i quattro performer di Itinerario.
In un luogo pensato per difendersi e nascondersi il pubblico è "invitato" a partecipare allo spettacolo, a vivere - rivivere, nel caso di alcune tra le persone del pubblico, come ci racconta Elena Rolla - sensazioni storiche lontane. A ricordare, per una redenzione futura, il marcio del nostro passato.
Se la locuzione "historia magistra vitae" ha perso col tempo il suo valore profetico, Bianco ci spinge, forse, a riflettere sui nostri tunnel nascosti, sul fango delle nostre coscienze, sui nascondigli in cui ripariamo noi stessi e che arrediamo con la nostra indifferenza, le nostre leggerezze. In cui celiamo, a dovere, le nostre infinite responsabilità.
Ecco allora che la danza in questo spettacolo diviene altro. Lo spettacolo si fa esperienza e l'arte coreutica mezzo con cui vivere il proprio corpo. Le sensazioni non sono positive certo, ma è dalla notte che, di solito, nasce il giorno.
Scopriamo adesso i nascondigli, i tunnel delle azioni coreografiche di Raphael Bianco. Fra presente e passato l'alfabeto di un coreografo.
D. "Per una possibile salvezza", sottotitolo dell'opera, porta in sé un sapore agrodolce. Cosa si cela dietro la parola "possibile"?
R. La salvezza non è sicura, non è una certezza, è una possibilità. C'è un margine di incertezza nel titolo che è quello che contraddistingue la stessa essenza non solo della vita ma del mondo che ci circonda. Effimero, sfuggente, ferocemente mutevole.
D. Mistery, Itinerario, Memorie. Performance site-specif che esigono il coinvolgimento del pubblico.
R. Mi accorgo che un certo tipo di contatto ravvicinato con la gente, in cui la stessa gente è parte dell'evento, ha un effetto di graduale ravvicinamento. La gente "comune" vive spesso la danza come un‘arte ermetica e distante, essere avvicinata dalla danza, coinvolta profondamente in un evento performativo, permette di comprenderne la fisicità e l'immediatezza più dall'interno.
D. Il corpo. Fra disagio, paura e impotenza. Disequilibri e brutture umanoidi, l'individuo, isolato mostra una fisicità regredita, che curvandosi ritorna animale; nella sua forma associata, invece, esibisce un corpo sicuro – d'effetto il terzetto, una volta unito il pubblico nel corridoio centrale, che al suono del tamburo danza il senso di rivalsa insito nella speranza - e nella padronanza della postura eretta, la consapevolezza di sé. Che l'unione possa, ancora fare la forza o che semplicemente l'identità arriva dal confronto?
R. In realtà le strategie per trovare complicità e consolidare alleanze sono alla base di qualsiasi centro di potere. Il terzetto che cambia costantemente organico è l'emblema di quanto siano effimere certe alleanze in nome di interessi contingenti. In realtà spesso le carte del gioco vengono cambiate e chi era al potere viene improvvisamente spodestato. Sono più dell'idea comunque che l'identità "dovrebbe " arrivare da un confronto per un progredire costruttivo della comunità e non da interessi più o meno individuali.
D. Tornano spesso nelle tue coreografie azioni danzate in cui il gruppo si oppone al singolo...
R. Spesso chi è apparentemente debole viene isolato, difficile l'integrazione di chi è fragile in una società che trova nella forza (non solo fisica) e nell'arroganza le virtù per una proficua unione, soprattutto subodorando una minaccia in chi è apparentemente più debole.
D. Quali battaglie, oggi, deve affrontare la danza per sopravvivere?
R. Troppe. La difficile e distorta concezione che il mondo politico e non solo, ha dell'arte ed in particolare della danza, non permette oggi lavorare in condizioni professionali. Speso si pensa che gli artisti vivano d'aria. Ma non è cosi. Ancora non esiste un contratto di categoria chiaro per i danzatori. Si lotta per arrivare a creare ciò in cui crediamo, sormontando barriere e difficoltà di ogni genere inimmaginabile per altre categorie professionali. Stiamo ancora aspettando soldi del 2013, e nulla si sa sugli esiti dei bandi Ministeriali 2015/17 né a sulla sovvenzione regionale 2015. Ma intanto l'attività deve andare avanti senza alcuna reale e concreta prospettiva nella speranza di ottenere il supporto richiesto. Se non ci fosse la passione vera, quella che ti rende necessaria la buona pratica della tua arte, non esisterebbero più artisti in Italia. Ma l'arte e la cultura non erano il sale della vita?
D. Produzioni 13/14. Un filo conduttore lega le tue ultime creazioni.
Si parte con Mistery per interrogarsi sull'enigma dell'esistenza. E scoprendo sé stessi si passa a Persona, in cui il danzatore/individuo (di)mostra le "sofferenze" del danzare, metafora del disagio del vivere fra costrizione e libertà. Ma come riuscire ad evadere dalle costrizioni ed accettare l'equilibrio che salva? Ecco allora che il tuo consiglio sembra essere quello di intraprendere un percorso personale, un Itinerario, che conduca al confronto con sé stessi, che si lotti con i propri sé, scendendo nei "tunnel" delle proprie anime. Scoprendo sé stessi resta darsi il giusto posto in società, capire ruoli e meccanismi. Si passa, dunque, alla Trilogia che riscopre la purezza insita in ogni "creatura naturale" ma che manca nelle "creature culturali" in cui il potere del superfluo, dettando le sue regole, allontana l'uomo dal suo assetto naturale. E da qui si arriva, in ultima istanza, al sostenibile Memorie, in cui l'elemento naturale, la pietra, si fa metafora del corpo e su cui si registrano, stratificandosi, ricordi ed essenze. E' qui il punto in cui ci inviti a tornare? All'origine della nostra condizione di esseri naturali?
R. Non ho la presunzione di guidare il pubblico in un percorso di redenzione, passami questa "boutade"! Piuttosto credo che le mie riflessioni/ossessioni sull'uomo, sulla vita, la morte, l'amore, il mondo e la società che ci circondano, abbiano una prospettiva che forse può interessare qualcuno.
Non c'è premeditazione, c'è meditazione, e soprattutto il porsi domande a cui qualcuno forse trova risposte, sollecitato da un gesto, stimolato da una suggestione visiva.
Credo fermamente che l'uomo dovrebbe ripensare il proprio cammino e soprattutto considerarsi meno onnipotente. Molti disastri sarebbero evitati se i valori e le prerogative di chi realmente conduce la propria comunità fossero più flessibili al confronto e inclini alla lealtà. Ci sono misteri immensi che ci circondano, l'uomo è sempre stato un animale curioso sarebbe bene continuasse ad esserlo, invece di disperdere energie nella vanità del potere, per scoprire nuove cose nella misteriosa dimensione del suo apparente agire: questo il senso profondo di Itinerario. clic qui per effettuare modifiche.
Non sono educati né gentili nelle loro regressione selvaggia. Ti intimano di seguirli con sguardi fissi e poco discreti. Ti spingono e ti strattonano. Mettono paura. Primati che rotolano e saltano, uomini incattiviti da una socializzazione malsana sono i quattro performer di Itinerario.
In un luogo pensato per difendersi e nascondersi il pubblico è "invitato" a partecipare allo spettacolo, a vivere - rivivere, nel caso di alcune tra le persone del pubblico, come ci racconta Elena Rolla - sensazioni storiche lontane. A ricordare, per una redenzione futura, il marcio del nostro passato.
Se la locuzione "historia magistra vitae" ha perso col tempo il suo valore profetico, Bianco ci spinge, forse, a riflettere sui nostri tunnel nascosti, sul fango delle nostre coscienze, sui nascondigli in cui ripariamo noi stessi e che arrediamo con la nostra indifferenza, le nostre leggerezze. In cui celiamo, a dovere, le nostre infinite responsabilità.
Ecco allora che la danza in questo spettacolo diviene altro. Lo spettacolo si fa esperienza e l'arte coreutica mezzo con cui vivere il proprio corpo. Le sensazioni non sono positive certo, ma è dalla notte che, di solito, nasce il giorno.
Scopriamo adesso i nascondigli, i tunnel delle azioni coreografiche di Raphael Bianco. Fra presente e passato l'alfabeto di un coreografo.
D. "Per una possibile salvezza", sottotitolo dell'opera, porta in sé un sapore agrodolce. Cosa si cela dietro la parola "possibile"?
R. La salvezza non è sicura, non è una certezza, è una possibilità. C'è un margine di incertezza nel titolo che è quello che contraddistingue la stessa essenza non solo della vita ma del mondo che ci circonda. Effimero, sfuggente, ferocemente mutevole.
D. Mistery, Itinerario, Memorie. Performance site-specif che esigono il coinvolgimento del pubblico.
R. Mi accorgo che un certo tipo di contatto ravvicinato con la gente, in cui la stessa gente è parte dell'evento, ha un effetto di graduale ravvicinamento. La gente "comune" vive spesso la danza come un‘arte ermetica e distante, essere avvicinata dalla danza, coinvolta profondamente in un evento performativo, permette di comprenderne la fisicità e l'immediatezza più dall'interno.
D. Il corpo. Fra disagio, paura e impotenza. Disequilibri e brutture umanoidi, l'individuo, isolato mostra una fisicità regredita, che curvandosi ritorna animale; nella sua forma associata, invece, esibisce un corpo sicuro – d'effetto il terzetto, una volta unito il pubblico nel corridoio centrale, che al suono del tamburo danza il senso di rivalsa insito nella speranza - e nella padronanza della postura eretta, la consapevolezza di sé. Che l'unione possa, ancora fare la forza o che semplicemente l'identità arriva dal confronto?
R. In realtà le strategie per trovare complicità e consolidare alleanze sono alla base di qualsiasi centro di potere. Il terzetto che cambia costantemente organico è l'emblema di quanto siano effimere certe alleanze in nome di interessi contingenti. In realtà spesso le carte del gioco vengono cambiate e chi era al potere viene improvvisamente spodestato. Sono più dell'idea comunque che l'identità "dovrebbe " arrivare da un confronto per un progredire costruttivo della comunità e non da interessi più o meno individuali.
D. Tornano spesso nelle tue coreografie azioni danzate in cui il gruppo si oppone al singolo...
R. Spesso chi è apparentemente debole viene isolato, difficile l'integrazione di chi è fragile in una società che trova nella forza (non solo fisica) e nell'arroganza le virtù per una proficua unione, soprattutto subodorando una minaccia in chi è apparentemente più debole.
D. Quali battaglie, oggi, deve affrontare la danza per sopravvivere?
R. Troppe. La difficile e distorta concezione che il mondo politico e non solo, ha dell'arte ed in particolare della danza, non permette oggi lavorare in condizioni professionali. Speso si pensa che gli artisti vivano d'aria. Ma non è cosi. Ancora non esiste un contratto di categoria chiaro per i danzatori. Si lotta per arrivare a creare ciò in cui crediamo, sormontando barriere e difficoltà di ogni genere inimmaginabile per altre categorie professionali. Stiamo ancora aspettando soldi del 2013, e nulla si sa sugli esiti dei bandi Ministeriali 2015/17 né a sulla sovvenzione regionale 2015. Ma intanto l'attività deve andare avanti senza alcuna reale e concreta prospettiva nella speranza di ottenere il supporto richiesto. Se non ci fosse la passione vera, quella che ti rende necessaria la buona pratica della tua arte, non esisterebbero più artisti in Italia. Ma l'arte e la cultura non erano il sale della vita?
D. Produzioni 13/14. Un filo conduttore lega le tue ultime creazioni.
Si parte con Mistery per interrogarsi sull'enigma dell'esistenza. E scoprendo sé stessi si passa a Persona, in cui il danzatore/individuo (di)mostra le "sofferenze" del danzare, metafora del disagio del vivere fra costrizione e libertà. Ma come riuscire ad evadere dalle costrizioni ed accettare l'equilibrio che salva? Ecco allora che il tuo consiglio sembra essere quello di intraprendere un percorso personale, un Itinerario, che conduca al confronto con sé stessi, che si lotti con i propri sé, scendendo nei "tunnel" delle proprie anime. Scoprendo sé stessi resta darsi il giusto posto in società, capire ruoli e meccanismi. Si passa, dunque, alla Trilogia che riscopre la purezza insita in ogni "creatura naturale" ma che manca nelle "creature culturali" in cui il potere del superfluo, dettando le sue regole, allontana l'uomo dal suo assetto naturale. E da qui si arriva, in ultima istanza, al sostenibile Memorie, in cui l'elemento naturale, la pietra, si fa metafora del corpo e su cui si registrano, stratificandosi, ricordi ed essenze. E' qui il punto in cui ci inviti a tornare? All'origine della nostra condizione di esseri naturali?
R. Non ho la presunzione di guidare il pubblico in un percorso di redenzione, passami questa "boutade"! Piuttosto credo che le mie riflessioni/ossessioni sull'uomo, sulla vita, la morte, l'amore, il mondo e la società che ci circondano, abbiano una prospettiva che forse può interessare qualcuno.
Non c'è premeditazione, c'è meditazione, e soprattutto il porsi domande a cui qualcuno forse trova risposte, sollecitato da un gesto, stimolato da una suggestione visiva.
Credo fermamente che l'uomo dovrebbe ripensare il proprio cammino e soprattutto considerarsi meno onnipotente. Molti disastri sarebbero evitati se i valori e le prerogative di chi realmente conduce la propria comunità fossero più flessibili al confronto e inclini alla lealtà. Ci sono misteri immensi che ci circondano, l'uomo è sempre stato un animale curioso sarebbe bene continuasse ad esserlo, invece di disperdere energie nella vanità del potere, per scoprire nuove cose nella misteriosa dimensione del suo apparente agire: questo il senso profondo di Itinerario. clic qui per effettuare modifiche.