Re Lear
Placido/Manetti e l'equivoco Shakespeariano
Dopo Falstaff e Cyrano è Re Lear ad essere ospitato allo Stabile.
Con Placido/Manetti che rileggono Shakespeare, fino al 30 novembre, al Carignano la tragedia del potere e del dovere, il dramma dell'amore filiale e del tradimento.
Scritto in torno al 1605, basato sulla leggenda di Leir - re della Britannia prima che questa diventasse parte dell'Impero romano - Re Lear fu spesso modificato, dopo la Restaurazione inglese, dai professionisti che non amavano il suo sapore nichilista. Ma la tragedia, a partire dalla seconda guerra mondiale, ha cominciato ad essere considerata uno dei più grandi successi di Shakespeare - tanto che, oggi, il grande criticoHarold Bloom la considera, insieme all'Amleto, come una sorta di mitologia del contemporaneo -, e il ruolo di Re Lear - recitato da grandi interpreti - generalmente è considerato un prova per gli attori che hanno raggiunto un'età avanzata.
Nella sua sapiente costruzione di fabula e intreccio, in Re Lear, Shakespeare sovrappone due storie. La prima gli è data da un fatto di cronaca dei suoi tempi: le due figlie maggiori di Sir Brian Annesley tentarono di interdirlo per poter accedere ai suoi possedimenti e la sorella minore, Cordell, intervenne in modo che ciò non avvenisse. Per quanto riguarda, invece, la vicenda di Gloucester, il tragediografo inglese attinse probabilmente da "Arcadia", famosa opera di Sidney, per sviluppare il tema dei due fratellastri Edgar e Edmund.
Re Lear ha tutte le caratteristiche dell'universalità e le stigmate della modernità e per questo diviene affresco di un mondo piombato nel caos, sui bordi di una nuova era. Nella sua rilettura, Michele Placido opta dunque, nell'allestimento, per un mondo in preda al disordine e alla rovina. Una desolata e apocalittica periferia industriale, dalle cui macerie sporgono le icone spezzate di regnanti post-moderni, da Kennedy a Lenin, dalla regina Elisabetta a Bin Laden - riuscitissima intuizione di Carmelo Giammello nel posizionare una enorme corona "caduta" a destra del palco, con i loro ritratti, assieme ai resti di un mondo in cui parole e sentimenti, forse, combaciavano. E il linguaggio si fa più vicino al nostro, così come il linguaggio non verbale diventa più contemporaneo, e i versi di Shakespeare si fanno "reppate" hip hop.
Re Lear inizia con un capriccio e tutta la narrazione racconta delle conseguenze di questo "sottile gioco bimbo". Al capriccio del padre, si aggiunge l'equivoco che scatena la figlia Cordelia, la più amata, la stessa che non conoscendo ipocrisia e adulazione, al contrario delle sorelle, non dichiara l'amore assoluto al padre, ma gli promette di condividerlo con il futuro sposo. Onesto, umano financo legittimo, il parlare di Cordelia infiamma Lear, che non ottenendo l'adulazione voluta, ripudia la figlia minore.
"È questo equivoco – scrivono Placido e il co-regista Francesco Manetti –, questo confondere l'amore con le parole, che farà crollare Lear rendendolo pazzo. E con lui è il mondo intero che va fuor di senno, la natura scatenata e innocente riprende il suo dominio, riporta gli uomini al loro stato primordiale, nudi e impauriti a lottare per la propria sopravvivenza".
E lo sconvolgimento di Lear - come ebbe a dire Giorgio Strehler per il suo adattamento andato in scena nel 1972 al Piccolo Teatro di Milano - è quello dell'officiante che vede il blasfemo, che si avvicina all'ostia e la sputa per terra. È incredulità ed è orrore e smarrimento. E altro.
Dopo «la tempesta» di Lear, la follia degli uomini, la cattiveria, il sangue ed il dolore, appare una incredibile pace. Lear si risveglia, anzi sta risvegliandosi. Ed è qui che è avvenuto il «capovolgimento», qui la conquista della «verità» che è al di là delle cose.
Con Placido/Manetti che rileggono Shakespeare, fino al 30 novembre, al Carignano la tragedia del potere e del dovere, il dramma dell'amore filiale e del tradimento.
Scritto in torno al 1605, basato sulla leggenda di Leir - re della Britannia prima che questa diventasse parte dell'Impero romano - Re Lear fu spesso modificato, dopo la Restaurazione inglese, dai professionisti che non amavano il suo sapore nichilista. Ma la tragedia, a partire dalla seconda guerra mondiale, ha cominciato ad essere considerata uno dei più grandi successi di Shakespeare - tanto che, oggi, il grande criticoHarold Bloom la considera, insieme all'Amleto, come una sorta di mitologia del contemporaneo -, e il ruolo di Re Lear - recitato da grandi interpreti - generalmente è considerato un prova per gli attori che hanno raggiunto un'età avanzata.
Nella sua sapiente costruzione di fabula e intreccio, in Re Lear, Shakespeare sovrappone due storie. La prima gli è data da un fatto di cronaca dei suoi tempi: le due figlie maggiori di Sir Brian Annesley tentarono di interdirlo per poter accedere ai suoi possedimenti e la sorella minore, Cordell, intervenne in modo che ciò non avvenisse. Per quanto riguarda, invece, la vicenda di Gloucester, il tragediografo inglese attinse probabilmente da "Arcadia", famosa opera di Sidney, per sviluppare il tema dei due fratellastri Edgar e Edmund.
Re Lear ha tutte le caratteristiche dell'universalità e le stigmate della modernità e per questo diviene affresco di un mondo piombato nel caos, sui bordi di una nuova era. Nella sua rilettura, Michele Placido opta dunque, nell'allestimento, per un mondo in preda al disordine e alla rovina. Una desolata e apocalittica periferia industriale, dalle cui macerie sporgono le icone spezzate di regnanti post-moderni, da Kennedy a Lenin, dalla regina Elisabetta a Bin Laden - riuscitissima intuizione di Carmelo Giammello nel posizionare una enorme corona "caduta" a destra del palco, con i loro ritratti, assieme ai resti di un mondo in cui parole e sentimenti, forse, combaciavano. E il linguaggio si fa più vicino al nostro, così come il linguaggio non verbale diventa più contemporaneo, e i versi di Shakespeare si fanno "reppate" hip hop.
Re Lear inizia con un capriccio e tutta la narrazione racconta delle conseguenze di questo "sottile gioco bimbo". Al capriccio del padre, si aggiunge l'equivoco che scatena la figlia Cordelia, la più amata, la stessa che non conoscendo ipocrisia e adulazione, al contrario delle sorelle, non dichiara l'amore assoluto al padre, ma gli promette di condividerlo con il futuro sposo. Onesto, umano financo legittimo, il parlare di Cordelia infiamma Lear, che non ottenendo l'adulazione voluta, ripudia la figlia minore.
"È questo equivoco – scrivono Placido e il co-regista Francesco Manetti –, questo confondere l'amore con le parole, che farà crollare Lear rendendolo pazzo. E con lui è il mondo intero che va fuor di senno, la natura scatenata e innocente riprende il suo dominio, riporta gli uomini al loro stato primordiale, nudi e impauriti a lottare per la propria sopravvivenza".
E lo sconvolgimento di Lear - come ebbe a dire Giorgio Strehler per il suo adattamento andato in scena nel 1972 al Piccolo Teatro di Milano - è quello dell'officiante che vede il blasfemo, che si avvicina all'ostia e la sputa per terra. È incredulità ed è orrore e smarrimento. E altro.
Dopo «la tempesta» di Lear, la follia degli uomini, la cattiveria, il sangue ed il dolore, appare una incredibile pace. Lear si risveglia, anzi sta risvegliandosi. Ed è qui che è avvenuto il «capovolgimento», qui la conquista della «verità» che è al di là delle cose.
gb
Teatro Carignano
Re Lear
di William Shakespeare
traduzione e adattamento Michele Placido, Marica Gungui
con Michele Placido e Gigi Angelillo, Francesco Bonomo, Federica Vincenti, Francesco Biscione, Giulio Forges Davanzati, Peppe Bisogno, Brenno Placido, Alessandro Parise, Marta Nuti, Maria Chiara Augenti, Mauro Racanati, Bernardo Bruno, Gerardo D'Angelo
regia Michele Placido e Francesco Manetti
scene Carmelo Giammello
musiche originali Luca D'Alberto
costumi Daniele Gelsi
luci Giuseppe Filipponio
Re Lear
di William Shakespeare
traduzione e adattamento Michele Placido, Marica Gungui
con Michele Placido e Gigi Angelillo, Francesco Bonomo, Federica Vincenti, Francesco Biscione, Giulio Forges Davanzati, Peppe Bisogno, Brenno Placido, Alessandro Parise, Marta Nuti, Maria Chiara Augenti, Mauro Racanati, Bernardo Bruno, Gerardo D'Angelo
regia Michele Placido e Francesco Manetti
scene Carmelo Giammello
musiche originali Luca D'Alberto
costumi Daniele Gelsi
luci Giuseppe Filipponio